Mi chiamo Elisabetta Moriconi. La mia ambizione più grande nella vita è sempre stata diventare un architetto, e qualche anno fa, dopo innumerevoli momenti di stop, finalmente lo sono diventata!
L’architettura è un’arte antica. Da sempre, e per sempre, dopo la necessità di nutrirsi c’è la necessità di procurarsi un rifugio, dapprima naturale, poi artificiale. D’altronde se Dio può essere considerato l’architetto del mondo e ha creato noi a sua immagine e somiglianza, non possiamo che essere noi stessi costruttori.
Raccontare ciò che si aspetta da se stessi in un contesto complesso quale può essere quello dell’architettura e del fare architettura, è sempre difficile. È una passione che ti nasce dentro e che si concretizza in qualsiasi “schizzo” di matita disegnato su un foglio apparentemente bianco, ma che contiene già una idea, che può vedere, però, solo chi non si ferma all’apparenza del foglio bianco.
L’Architettura è per me emozione, quasi impossibile da descrivere appunto perché emozione, ovvero qualcosa di inafferrabile e di sfuggente. Come descrive in un saggio del 1998 il biologo italiano Alberto Oliverio “le emozioni sono un qualche cosa di istintivo, che nasce in rapporto a degli stimoli particolari, a qualche cosa che induce in noi paura o che induce in noi piacere, gioia e così via”. Questa è l’Architettura per me. Quel qualcosa che mi fa emozionare inducendomi piacere nel vederla, nel raccontarla ma soprattutto nel farla. Ed è qui che l’emozione diventa reale, diventa qualcosa di tangibile, non più effimero, ma qualcosa di duraturo e permanente. E spero che questa visione un po’ poetica dell’Architettura mi accompagni per lungo tempo, per evitare di cadere nella concretezza, nella realtà, nel materialismo.
Credo che l’architetto debba esplorare mondi possibili, e debba affrontare tutti i rischi che questo mestiere comporta. Si può evitare di farlo, ma che vita sarebbe? I rischi vanno affrontati, “se vuoi essere sicuro vai sulla strada maestra: è spesso asfaltata ma anche piena di banalità e di accademia. Sono un imprudente? Sono un incauto? Sono uno scapestrato? Meglio scapestrato che paralitico. Che virtù è la prudenza […] in un mestiere che dovrebbe inventarsi il futuro? Rivendico il diritto e il dovere di gettarsi nelle cose: sennò ad una certa età ti ritrovi a progettare solo boutique di lusso” (Renzo Piano)